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Convegno nazionale assistenti Ofs-Gifra: Assisi 21-24 Gennaio 2019

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Dal 21 al 24 gennaio quattro Cappuccini (io, Albino Boscolo, Stefano Crepaldi, Andrea Scortegagna) e due Minori di Padova abbiamo partecipato al convegno nazionale per gli Assistenti OFS-GiFra, dal titolo: L’Assistente come garante dei contenuti di fede, di comunione con la Chiesa e fedeltà al carisma francescano.

Le conferenze sono state animate da S.E. mons. Arturo Aiello, vescovo di Avellino e membro della Commissione Episcopale per il clero e la Vita Consacrata, e da Roberta Vinerba, suora francescana diocesana, direttrice ISSRA in Assisi, collaboratrice di riviste su temi di morale sessuale e di etica politica, tuttora docente di teologia morale.

Le tematiche affrontate erano più che mai attuali e tutti noi assistenti sentivamo l’esigenza di un aggiornamento e di un confronto soprattutto su come porci di fronte a quelle situazioni definite “irregolari”, o ancor più “delicate” come i divorziati risposati, i conviventi e le persone omosessuali, che si accostano o partecipano alla vita dell’Ordine francescano secolare. Le risposte ai numerosi dubbi e alle numerose domande a riguardo non erano così scontate, tuttavia tutte esortavano ad avere un’attenzione particolare verso quelle persone che desiderano continuare un cammino di fede e a manifestare l’accoglienza materna della Chiesa, nel rispetto della persona e di quello che la Chiesa insegna.

Credo di esprimere anche il parere di tutti i miei compagni di viaggio dicendo che l’esperienza di quei giorni è stata bella oltre che arricchente. Abbiamo vissuto insieme momenti di confronto, di preghiera e di letizia che ci hanno rincuorato e rinforzato nel nostro incarico.

Per quanto abitudinario, questo Convegno annuale è di fondamentale importanza per raccogliere le varie esperienze di ciascuno e condividere con chi come noi vive l’obbedienza in questo incarico dando il meglio di sé.   

by Stefano Marzolla, Assistente Reg. OFS Veneto

Lettera nataliza del Ministro provinciale: La Parola divenne carne

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E il verbo si fece carne e pose la sua tenda tra di noi (Gv 1,14)

Carissimi fratelli,
il Signore vi dia pace!

Questo versetto lo sentiremo proclamare nella messa del giorno di Natale, quando come pericope evangelica ci verrà proposto il prologo del vangelo di Giovanni (Gv 1,1-18).
Accostandoci ad esso dovremmo resettare la nostra memoria da tutte le incrostazioni interpretative, per leggerlo come fosse la prima volta e così provare la meraviglia che lo stesso san Francesco avvertì davanti alla rappresentazione sacra di Greccio.
Da questa “nuova” prospettiva il prologo fa provare al lettore un senso di vertigine, conducendolo non solo all’origine del mondo, ma addirittura al di là del tempo, portandolo a contemplare il mistero stesso della vita divina, quale dialogo eterno del Figlio rivolto verso il seno del Padre.

La vertigine muta in sconcerto quando il lettore intuisce via via più chiaramente che la parola eterna di Dio entra nella storia umana, nello scontro tra fede e incredulità, accoglienza e rifiuto. Lo sconcerto diventa infine sgomento quando si ascolta l’inaudibile, si annuncia l’impensabile e l’insperabile: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi», più letteralmente e plasticamente «e piantò la tenda in noi» (_eskēnōsen en hēmin v. 14).

L’ossimoro della Parola carne

Il termine Lògos del prologo giovanneo è coerente con l’argomento che attraversa tutto il quarto vangelo: Gesù è il rivelatore del Padre. Se Gv 1,1, con il suo avvio assoluto («In principio era il Lògos»), recupera la tradizione sapienziale giudaica creando unità tra teologia della rivelazione e teologia della storia, nello stesso tempo ne va ben al di là. Infatti rimanda oltre la storia e la creazione stessa, affondando lo sguardo sull’eternità di Dio, che appare come una vita nella quale il Lògos, che è Dio, è rivolto da sempre verso Dio, cioè è in continuo dialogo e comunione. Tale comunione divina si espande al di fuori di Dio attraverso il Lògos e la sua attività creatrice, orientata fin dall’inizio alla realizzazione di un progetto di vita per ogni creatura e, in particolare, per l’umanità. Dentro questo progetto respirano le nostre vite e quelle delle nostre fraternità. Senza questo orizzonte “divino” rischiano di essere risucchiate dalla sola contingenza.

Certo l’idea di Lògos così presentata appare come la cosa più lontana dalla “realtà” e “quotidianità” della sàrx, la «carne». In Giovanni questo termine traduce l’ebraico bāśar, che dice qualcosa di concreto, di bello, ma anche di fragile, di fugace e di transitorio, appunto di contingente. È necessario richiamare alla memoria il testo di Is 40,6-8 perché esso ci consegna la chiave per capire l’assoluto ossimoro teologico che Giovanni formula accostando la Parola/Lógos/Dāḇar alla carne/sàrx/bāśar. Così leggiamo nel testo di Isaia:

Una voce dice: «Grida», e io rispondo: «Che cosa dovrò gridare?». Ogni carne è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo. Secca l’erba, il fiore appassisce quando soffia su di essi il vento del Signore … Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre».

Ecco il paradosso dell’Incarnazione, dell’Eterno che si fa tempo, dell’Immortale che si fa mortale, dell’Assoluto che si fa contingente senza esserne risucchiato. Infatti il concetto di sàrx è ineludibilmente legato anche al tema del morire; perciò il quarto evangelista, affermando che la Parola è divenuta carne, contempla il legame indissolubile tra incarnazione e passione, tra l’umanità del Verbo e la sua morte.

Il versetto giovanneo prosegue affermando che il logos «mise la sua tenda in mezzo a noi» (eskēnōsen en hēmin). L’immagine della tenda dice una dimora non stabile, non sontuosa, ma provvisoria, povera, legata ad un cammino, a un peregrinare. Ancora una volta l’evangelista ci fa quindi sostare sul mistero dell’incarnazione come l’assunzione da parte di Dio della fragilità dell’uomo, della sua creatura. Inoltre, bisogna notare come il verbo ‘mettere la tenda’ rimandi ad una corrispondenza linguistica tra questo verbo greco skēnûn e quello che nella tradizione rabbinica diventa poi il simbolo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, nel Tabernacolo (o Tenda del Convegno). È la teologia della presenza gloriosa di Dio (šᵉkinā). Ecco allora nuovamente il paradosso della Presenza che si dona nel suo opposto, nella modalità di una ‘tenda’, cioè di un’abitazione provvisoria, della gloria che si nasconde nella fragilità e temporalità della carne.

Ma c’è un altro particolare da rilevare, ed è il contatto che questo versetto ha con altri testi sapienziali dell’Antico Testamento, e in particolare con quanto viene detto della Sapienza divina, che Dio dona al suo popolo nella modalità della _Tórah_, così come ci ricorda il Siracide: «Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, il mio creatore mi fece posare la tenda e mi disse: Fissa la tenda in Giacobbe…» (Sir 24,8). Questo ponte tra Antico e Nuovo Testamento ci fa comprendere che la Sapienza di Dio si dona perciò nell’umanità del Verbo, nell’esistenza concreta di un uomo, di quel Gesù di Nazareth che è riconosciuto appunto, nella fede, come Signore e Dio (cfr. Gv 20,29).

Infine, vale la pena di sostare sull’espressione «in mezzo a noi» (en hêmîn), che non può essere ritenuta scontata. Infatti, se si legge il racconto di Esodo, dopo il peccato del vitello d’oro, si vede che Dio manifesta la propria intenzione di dimorare ancora con il suo popolo, ma si precisa anche che la Dimora dovrà essere ‘fuori’ dell’accampamento, a distanza di sicurezza, perché il popolo è peccatore (cfr. Es 33,7). Invece qui il Verbo eterno di Dio pone la sua tenda proprio _in mezzo_ agli uomini, senza barriere di sicurezza e, spingendo sul senso pregnante della proposizione greca, possiamo dire “in noi”. Così è Lui che rischia tutto, poiché il peccato degli uomini lo aggredirà, lo vorrà eliminare da questa storia.
Cari fratelli auguro a ciascuno di voi e a tutte le fraternità di fare in questo Natale l’esperienza della comunità giovannea – così come testimoniata nella seconda parte del v. 14: «Abbiamo visto la sua gloria…» – che riconosce nella carne di Cristo la presenza della gloria di Dio. Lo stesso ha fatto il nostro serafico padre Francesco che così si esprime nella Lettera a tutti i fedeli:

L’altissimo Padre celeste, per mezzo del santo suo angelo Gabriele, annunciò questo Verbo del Padre, così degno, così santo e glorioso, nel grembo della santa e gloriosa Vergine Maria, e dal grembo di lei ricevette la vera carne della nostra umanità e fragilità (FF 181).

Il Natale sia per tutti noi un sostare orante davanti al mistero e un servire con carità piena e totale la “carne santa” dei nostri fratelli.

Formatori cappuccini a Convegno dal 14 al 18 Gennaio 2019

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Dal 14 al 18 gennaio presso la Domus Laetitiae si sono realizzati 2 convegni nazionali: quello dei postulanti e quello dei formatori.

Ai 16 postulanti (di cui 11 italiani) i frati di Spello hanno offerto alcune meditazioni sui luoghi di san Francesco; mentre il gruppo dei formatori si è soffermato sul tema del discernimento, con riflessioni offerte da p. Marko Rupnik e da alcune sorelle del suo atelier teologico.

Alla luce di ciò che è la chiamata battesimale, sono stati invitati a considerare l’accompagnamento dei giovani più come una “formazione” che una “probazione”, quindi si è passati ai temi del discernimento e della preghiera. Il corso è stato molto apprezzato, a tal punto da chiedere un secondo appuntamento per il prossimo anno e, per l’anno successivo, un corso di esercizi ignaziani.

Un pasto caldo per poveri e senza tetto: alla mensa della provvidenza Frà Massimo e 450 volontari sono sempre presenti

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TRENTO. Gli angeli esistono, c’è poco da fare. Credenti o meno per incontrarli, se ci si trova a Trento, basta raggiungere Port’Aquila risalire via della Cervara e recarsi in piazza dei Cappuccini. Qui, al civico 1, infatti, ciclicamente ci sono 450 volontari, semplici cittadini di ogni estrazione e ceto, che si alternano, ogni giorno, ai fornelli e preparano da mangiare a poveri, senza tetto, migranti, persone in difficoltà. ”Arriviamo a sfamare fino a 150, 180 persone a pasto – spiega Frà Massimo Lorandini che gestisce la struttura – e lo facciamo sempre e solo grazie all’aiuto delle persone”. Già perché anche il cibo è ”volontario” consegnato gratuitamente da privati cittadini, supermercati, aziende proprio allo scopo di aiutare di chi ne ha più bisogno.

Siamo alla Mensa della Provvidenza all’interno del convento dei frati cappuccini di Trento. Lunedì sera il Rotary Club Trento ha organizzato una cena speciale nella struttura per sentire da frate Massimo quali sono le criticità, i problemi da affrontare, le iniziative da mettere in campo per aiutarlo nella sua missione. L’ente filantropico, che in Trentino opera dal 1949, infatti, con l’attuale presidente Massimo Fedrizzi pochi mesi fa è riuscito a consegnare a Frà Massimo 100 sacchi a pelo per fronteggiare l’emergenza freddo mentre solo due anni fa si era fatto promotore del progetto ”Ancora Blu” con il quale molti soci mettevano a disposizione le loro competenze professionali e così se servisse un dentista, un avvocato, un consulente i bisognosi saprebbero a chi rivolgersi gratuitamente.

Tutto ruota attorno alla volontarietà nella mensa della provvidenza che non a caso porta questo nome. Un tempo mensa dei poveri oggi della provvidenza perché, inutile dirlo, quel che succede ogni giorno ha davvero dell’incredibile. Che sia provvidenza divina o umana poco importa. Qui quel che conta è che ci sia sempre un pasto pronto per chi ha bisogno, italiano o straniero, cristiano o mussulmano, uomo o donna, giovane o anziano. ”E sono sempre più in aumento i trentini – spiega Frà Massimo – segnati dalla crisi economica, da separazioni e divorzi, ma soprattutto dal vero cancro della nostra epoca che è il gioco d’azzardo che mette sul lastrico intere famiglie. Un vero disastro”.

Fra’ Massimo ha ridato slancio ed energia alla struttura intitolata a padre Fabrizio Forti, dopo che due anni fa (era il 16 ottobre 2016), il mitico frate era venuto a mancare. Indimenticato e indimenticabile una sua foto campeggia tuttora sulle pareti della mensa e altre si trovano in altri locali dell’edificio. Padre Fabrizio era stato l’anima, le braccia e la mente che era riuscita, negli anni, a creare una struttura capace di autosostenersi senza, praticamente, un soldo, ma solo grazie alla rete di amicizie, passione e impegno delle centinaia di volontari che si erano avvicinati alla mensa. Un frate, padre Fabrizio, che ha rappresentato un modello e un esempio per tutti e che per anni ha aiutato e dato conforto oltre che ai poveri e ai senza tetto anche ai carcerati girando le varie strutture del Trentino.

Quando è morto aveva 67 anni e in molti hanno temuto di restare orfani non solo della sua persona ma anche del suo spirito e della sua iniziativa. Poi, però, è arrivato Frà Massimo e le paure sono scomparse. La mensa della provvidenza, oggi, prosegue a pieno regime nella sua attività di lotta alla povertà e contrasto all’emarginazione grazie anche alle energie di questo giovane (è stato nominato che aveva 43 anni ed era il più giovane dei frati del convento) ma preparatissimo padre.

E proprio a lui il Rotary Trento ha voluto consegnare per mano del suo presidente Fedrizzi il ”Paul Harris Fellow” la massima onorificenza rotariana il cui nome è ispirato a Paul Harris il fondatore del Rotary. Un piccolo gesto per un grande uomo che ha la fortuna (e la bravura) di poter contare su almeno 450 angeli della provvidenza.

Di Luca Pianesi

Fonte: Il Dolomiti

Solenne Ordinazione Diaconale a Padova Sabato 17 novembre

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Il giorno 17 novembre, con la partecipazione di numerosissimi fedeli, amici e confratelli del nord Italia, con l’animazione dei canti e della liturgia da parte dei nostri studenti di filosofia e di teologia, seminaristi e diaconi del Patriarcato di Venezia, si è celebrata, alle ore 11 nel Santuario di San Leopoldo a Padova, la solenne e gioiosa Ordinazione diaconale dei frati Lorenzo Pellizzari (Prov. Veneta), Gabriele Barbi e Davide Zanni (Prov. Lombarda) per mano dell’arcivescovo di Corfù, Zante e Cefalonia, Mons. Ioannis Spiteris, che ha offerto toccanti e dense riflessioni. Ecco alcuni flash.

Diaconi, non transeunti, ma permanenti: questo diventerete! Perché il sacramento è permanente, è per tutta la vostra vita, vita donata a Dio e donata ai fratelli. La vostra diaconia dura quanto dura la vostra fede e la vostra carità.

S. Ignazio di Antiochia diceva il diacono essere mano del vescovo, amore visibile di Gesù Cristo e della Chiesa. I diaconi – asserisce il padre della Chiesa – rendono visibile Cristo che serve e la loro diaconia è il sacramento del servizio che la Chiesa è chiamata a fare. Essi sono “strumento nelle mani di Cristo per realizzare la sua missione”.

Certo, dono invisibile e personale ma destinato a esternarsi, la diaconia è la realizzazione di questo sacramento. Nella nostra povertà, per tutto ciò, abbiamo bisogno della grazia di un apposito sacramento, quello che riceverete a istanti. I diaconi “sono corroborati da un dono speciale dello Spirito Santo … stabiliti e conformati al suo di [Cristo] Spirito”.

Appunto, lo Spirito santo vi conforma a Cristo venuto non per essere servito, ma per servire. Il diacono deve essere in ogni momento saldo nel Vangelo, divenutogli sua “forma mentale”. Essi sono a servizio della comunità (ma anche la comunità deve aiutarli a creare la comunione): ecco perché sono personificazione vivente della carità. Per ciò, i diaconi devono essere in uno stato permanente di gratitudine, di eucaristia.

Eppoi, come in tutto il monachesimo antico, anche per san Francesco il “lavare i piedi, gli uni agli altri” (cfr. RnB, cap. VI) è l’esternazione del frate veramente minore, è un punto basilare della spiritualità cristiana. Oggi voi siete inseriti nel sacramento del servizio, della minorità, della carità in maniera reale e radicale e il Signore sarà con voi, lo Spirito Santo vi farà “altro Cristo” che mette il grembiule, sempre pronti e disponibili.

San Francesco, san Leopoldo e sant’Antonio vi accompagnino ora e per tutta la vostra vita. Amen.

Amatrice e lettera di ringraziamento per la presenza dei frati

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Ha fatto ritorno da Amatrice fr. Fabio Miglioranza, recatovisi per la seconda volta come frate in mezzo alle persone colpite dal famoso terremoto. Con questo aggancio, riportiamo stralci della lettera di ringraziamento che quella “comunità” ha inviato via CIMCap:

«Siete stati i primi ad arrivare qui tra noi, in seguito a quella terribile notte, insieme a militari, volontari, giornalisti e politici; poi, piano piano, tutti ci hanno abbandonato e le luci della ribalta su di noi si sono spente, solo la luce dei vostri occhi ha continuato ad illuminare il nostro cammino… Avete aiutato la nostra comunità sia spiritualmente che materialmente, avete celebrato la Messa, governato le mucche, munto le pecore, pulito la stalla, zappato l’orto, raccolte le patate, mangiato, bevuto, cantato, ballato, pregato insieme a noi, in un’unica parola avete vissuto insieme a noi, avete vissuto le nostre angosce, le nostre paure, i nostri dolori, ma anche le nostre gioie. Siete stati, siete e sarete sempre parte integrante della nostra vita.

Se chiudo gli occhi e penso a voi, la prima immagine che mi viene in mente è fr. Raffaele con in mano il Corpo di Cristo e le braccia rivolte verso il cielo, davanti a lui raccolti in preghiera circa sessanta persone, dietro di lui si stagliava imponente Pizzo di Sevo … Colgo l’occasione per ringraziare il Vescovo Domenico e il Provinciale Gianfranco, che hanno permesso tutto ciò, e un ringraziamento particolare va ad ognuno di voi frati.

Si sa che l’uomo per natura è abitudinario e noi ci siamo abituati alla vostra presenza… Ci mancherete! Con affetto, “l’intera Comunità”»

Andiamo, 24 piedi siamo …

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PELLEGRINAGGIO GIOVANI FRANCESCANI. Il 6 agosto siamo partiti per Rieti e la sua valle, dove abbiamo incontrato tanti altri giovani da tutta Italia che, come noi, si trovavano lì spinti dalla passione per la vita di s. Francesco e dall’entusiasmo di mettersi in cammino con lui. Abbiamo così iniziato 4 giorni di pellegrinaggio che ci hanno portati a scoprire i luoghi in cui Francesco ha incontrato Dio e non ha avuto paura di seguirlo.

Gli ultimi due giorni di cammino ci hanno invece portati a Roma per un incontro speciale: quello con il Papa. Papa Francesco ha parlato a noi e agli altri 80.000 giovani chiedendoci di non rinunciare ai nostri sogni.

Siamo tornati carichi di amore, emozionati e con una nuova fiducia verso il futuro. Nella consapevolezza che non siamo soli e che, in Dio, possiamo realizzare i nostri desideri più profondi.

Perché a te Francesco?

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Con le lodi del 28 agosto, memoria liturgica di s. Agostino, per sei giovani del Nord Italia è iniziato a Tortona (AL) l’anno di noviziato. Hanno chiesto di seguire Francesco, per incontrare anche loro Gesù. Il 14 settembre hanno messo “i panni della prova”.

Sono Marco Speziale (1967, PR. di Lombardia), Manuel Murer (1978) e Davide Rosso (1995, PR. Veneta), Davide Zanasi (1996, PR. di Emilia-Romagna), Massimo Crivello (1977, PR. di Liguria) e Mišo Biskup (1978, PR. di Croazia).

Sia un anno di luce d’avventura nella grazia.

“faccio voto per tutta la mia vita…”

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In pieno Capitolo generale, a un giorno dall’elezione del nuovo Ministro, si sono celebrate le Professioni Perpetue di cinque nostri fratelli post-novizi. Era domenica 2 settembre, alle 15.30, presso il convento di S. Maria degli Angeli in Milano.

Davanti ai numerosi familiari, amici e frati, fr. Anton Strakh (Maldzečna-Bielorussia, 1993), fr. Matteo Stefanoni (Lecco, 1993), fr. Mattia Senzani (Lecco, 1980), fr. David Jr. Tchamatou (Kumba-Cameroun, 1974) e fr. Marco Reginato (Asolo, 1971), hanno emesso i loro voti solenni nelle mani dei rispettivi Provinciali.

Fratelli donatisi a Dio e ad ogni uomo: stupende le tue opere, Signore!