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Incontro di zona 2018 – Nord Italia

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Si è aperto ieri l’incontro di zona del Nord Italia 2018 organizzato dal segretariato Fraternità-Missione della CIMP Cap.

La tematica proposta è:

Discernimento e sacramento della riconciliazione al tempo dell’amaris Laetitia. Accompagnare, discernere e integrare le fragilità.

Gli incontri di zona hanno lo scopo di far conoscere maggiormente i frati del nord Italia fra loro, aumentare le collaborazioni all’interno dei singoli settori pastorali e offrire occasioni per la formazione personale e fraterna. Per questo il nuovo ciclo di incontri mette a fuoco tematiche “più ampie” che possano interessare più frati. Si è fatta poi la scelta di dedicare un maggiore tempo agli incontri in modo da facilitare il raggiungimento degli obiettivi proposti.

Il tema di quest’anno viene presentato così dall’invito arrivato nelle fraternità: «Come accompagnare i battezzati che hanno contratto un matrimonio civile e quelli semplicemente conviventi? Come accompagnare le persone divorziate che vivono una nuova unione e che intendono riavvicinarsi alle comunità ecclesiali sulla via del pentimento e del discernimento, offrendo loro tutte le risorse concrete e spirituali di cui la Chiesa dispone, compresi “in alcuni casi”, anche i sacramenti? Quale valutazione, quale atteggiamento e quale accompagnamento, da parte della Chiesa, nei confronti delle persone (coppie) omosessuali? Questi alcuni degli interrogativi ai quali cercheremo di rispondere nell’incontro di quest’anno».

Il relatore è Don Valter Perini (1958), presbitero del Patriarcato di Venezia (1982). Ha perfezionato gli studi teologici a Roma ottenendo la Licenza in Scienze dell’Educazione presso l’Università Pontificia salesiana e il Diploma di Magistero per la formazione presso l’Istituto Superiore per formatori collegato all’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana.

È docente di “Psicologia e formazione” presso il Seminario patriarcale di Venezia e di “Pastorale del sacramento della Riconciliazione” e “Psicologia pastorale” presso l’Istituto teologico Laurentianum di Venezia.

È direttore dell’Ufficio per l’evangelizzazione e la catechesi e della Scuola di formazione teologico- pastorale del Patriarcato di Venezia.

Detto sentenzioso 10°

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Quello predica bene che sa domare le sue passioni et gli affetti,

et non lo dilettano le leggerezze et il conversare,

né gli rincresce lo stare all’orazione,

schiva di mandar fuori le male parole,

perché egli ha il fervore di dentro

Detto sentenzioso 12°

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Non è degno d’esser innalzato da Dio

se non chi sa patire i vituperi e le ingiurie per amor suo;

poiché il Signor Iddio ha ricevuto le passioni per noi,

così ancor noi dobbiamo patire per lui

e seguirlo in tutto il nostro potere.

Detto sentenzioso 13°

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Il fidarsi troppo di se stessi

e star saldo nella propria volontà

contro la ragione et l’opinione degli altri,

è una gran superbia.

Detto sentenzioso 14°

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Non è compunto di core colui che volentieri

sta ad udire le cose vane et le ripete davanti agli altri.

S’havesse il Crocefisso dentro il suo cuore,

non uscirebbono così di fatto le parole oziose dalla sua bocca.

Nuovo libro di fr. Ruffino Biasi

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«Quale volto rispecchia la tua vita?»

Certamente qualcuno prenderà in mano il presente libretto. Aprendolo e sfogliando alcune pagine dirà: “È un libretto di poesie”. Invece no: davvero di poesia vera non c’è traccia; sono solo dei pensieri molto semplici messi giù in strofe per facilitare il lettore ad accogliere qualche aspetto particolare di pensiero, diverso da quelli contenuti nella strofa precedente.

I brevi accenni di vita qui descritti e che sono stati vissuti da persone con grande semplicità e spontaneità, ti potranno lasciare qualche impressione positiva e sospingerti all’imitazione. Perciò, se il tempo ti permette, leggimi: forse ti potrà giovare.

Grazie
Fra Ruffino Biasi

[Fonte: Dall’introduzione p. 5]

Detto sentenzioso 15°

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Il voler correggere et ammaestrare altri

non è troppo gran virtù;

ma corregger bene se stesso et emendarsi

è una saviezza appresso Dio et gli huomini.

Detto sentenzioso 16°

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Se sei meritevole et poco stimato

et ti sono anteposti i vili et gl’indegni,

non ne pigliar tristezza,

poiché ancora a Christo fu anteposto Barabba.

È molto meglio essere humiliato con i buoni,

che reprobato da Dio con i superbi.

Beato Giacinto Longhin

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Andrca Giacinto Longhin nato a Fiumicello di Campodarsego (Padova) da umile famiglia di contadini, il 22 novembre 1863, fu battezzato il giorno seguente con i nomi di Giacinto e Bonaventura. I genitori, Matteo e Giuditta, da quasi quattro anni aspettavano un figlio e Giacinto fu e restò unico figlio.

Terminate le tre classi elementari, che svelarono in lui un appassionato dei libri e un carattere deciso e impegnato, ricevuta la cresima il 23 novembre 1871 e la prima comunione nel 1876, sentì un forte richiamo vocazionale attirato da quei frati – precisava – che vanno a piedi scalzi “per fare penitenza”. Così a sedici anni decise di farsi frate cappuccino e lottò con il padre che non voleva privarsi, nel lavoro dei campi, dell’unico figlio.

Vinse Giacinto, vestendo l’abito cappuccino a Bassano del Grappa (Vicenza), il 27 agosto 1879, con il nome di fra Andrea. Nel noviziato, al dire dei suoi compagni, «era non solo esemplare, ma di una esemplarità singolare» e un anno dopo emise i voti il 28 agosto 1880. Compi gli studi liceali nel convento di Padova e vi emise la professione solenne il 4 ottobre 1883, e gli studi teologici a Venezia, dove a ventitré anni fu ordinato sacerdote il 19 giugno 1886 dal cardinale patriarca Domenico Agostini.

Dal 1888 fu direttore spirituale e insegnante nel seminario dei cappuccini a Udine, dal 1889 direttore e professore dei chierici liceali cappuccini a Padova e, dal 1891, dei chierici teologi a Venezia. Fu insegnante dotato di chiarezza espositiva e di sicurezza dottrinale. Le sue “conferenze a chierici cappuccini” tenute negli anni 1889-1895, che si conservano ancora manoscritte, lo dimostrano esperto direttore di anime e formatore di austero e profondo spirito cappuccino. Dopo quattordici anni di attività educatrice e scolastica, fu eletto con totalità di voti superiore provinciale dei cappuccini veneti il 18 aprile 1902. Il suo modo di governare rifletteva le sue convinzioni di vita nell’inculcare ai suoi frati santa fermezza nell’ordine regolare, nell’osservanza esatta delle costituzioni e degli statuti, contro ogni spirito di libertà e di licenza. Voleva che i suoi sacerdoti fossero pronti a rendere ragione della loro fede difendendo la verità e ai giovani frati inculcava l’obbedienza e lo studio serio, che si chiama, come egli diceva, «scienza informata dalla virtù e dalla pietà cristiana sapienza». Da parte sua non trascurò gli studi e la predicazione che fu infaticabile, specie nell’animare ritiri e missioni al popolo. Era piccolo, ma capace di affascinare; mingherlino, eppure travolgente.

Il 16 aprile 1904, san Pio X lo nominò vescovo della sua diocesi natale di Treviso, compiacendosi di avere «scelto uno dei fiori più belli dell’Ordine dei cappuccini» per la propria diocesi. Così lo qualificò, il 12 agosto 1907:

È uno dei miei figli primogeniti, che ho regalato alla diocesi prediletta, ed esulto tutte le volte che mi si riferiscono le lodi di lui, che è veramente santo, dotto, un vescovo dei tempi antichi, che lascerà nella diocesi un’impronta indelebile del suo zelo apostolico.

Consacrato vescovo a Roma il 17 aprile 1904, entrò a Treviso il 6 agosto, deciso di essere il buon pastore, non risparmiando «né fatiche né sacrifici, disposto a dare per la sua chiesa tutto il suo sangue e la vita stessa ». La sua diocesi era vasta e s’allargava dal monte Grappa fin quasi al mare Adriatico, tra le diocesi di Vicenza, Padova, Venezia.

Già nella sua prima lettera pastorale del 26 luglio 1904, il vescovo aveva messo a fuoco il suo programma:

Verrò in quella diocesi, che, ve l’assicuro, sarà la mia carissima sposa, per la quale non risparmierò né fatiche né sacrifici, disposto a dar per essa tutto il mio sangue e la vita stessa… Fin da quel giorno in cui… divenni vostro pastore, sentii subito di amarvi di un amore ardentissimo… In me quindi troverete un padre che sarà tutto e interamente per voi. Con voi dividerò le gioie e i dolori, le speranze e le trepide angustie… Gli erranti e i dissidenti bramosi di perdono li stringerò al mio cuore, ben felice di rinnovare lo spettacolo del pastore solerte, che… riconduce la pecorella smarrita all’ovile. Per i nemici della santa fede avrò compassione profonda… e piangendo sulla loro cieca ostinazione, farò di tutto perché non abbiano da pervertire la parte sana del mio gregge… Godere con chi gode, piangere con chi piange, rendermi tutto a tutti per tutti guadagnare a Gesù Cristo: ecco la mia ambizione, il mio programma.

Nessun motto volle nel suo stemma episcopale: v’erano solo l’emblema francescano delle due braccia incrociate su una croce ed un fiore, il giacinto. Per 32 anni fu “il buon pastore della Chiesa trevigiana”, continuando a vivere con austerità e povertà cappuccina.

L’annuncio della parola fu uno dei suoi più ambiti ministeri. Sull’esempio di san Pio X, ebbe l’ansia apostolica dell’insegnamento del catechismo ai fanciulli, nei circoli delle associazioni giovanili e agli uomini cattolici, con gare di cultura, giornate di studi, scuole di catechisti, due congressi catechistici diocesani, nel 1922 e nel 1932. Fu ritenuto il “vescovo del catechismo”. Di fatto, non si stancava di predicare la verità: discorsi nelle grandi circostanze, omelie sui grandi misteri cristiani nelle solennità liturgiche, panegirici, discorsi di occasione, tridui, ritiri, esercizi spirituali a sacerdoti e religiosi, in diocesi e fuori diocesi. Un collaboratore, mons. Carlo Agostini, poi vescovo di Padova e patriarca di Venezia, nel 1929 scrisse: «Parla sette, otto, dieci volte in un giorno; e i giorni sì susseguono, si moltiplicano. Non si sa come faccia a resistere».

Amava e seguiva come padre i suoi sacerdoti, avendone specialissima cura sin dal seminario, predicando ritiri mensili ed esercizi spirituali, seguendoli per le 213 parrocchie in ben tre visite pastorali, iniziate nel 1905, 1912, 1926, donando loro, nel 1911, il sinodo ritenuto un vero “capolavoro di ordine e precisione”, vivamente apprezzato da san Pio X. Nel 1931 costituì la prima comunità di sacerdoti oblati. Fu sempre vicino ai suoi sacerdoti. Presentando l’edizione di alcuni suoi ritiri al clero, intitolata “Il sacerdote alla scuola di Gesù”, il patriarca di Venezia il card. Angelo Giuseppe Roncalli, poi papa Giovanni XXIII, nel 1957 scriveva: «Quanto rispetto di un vescovo per i suoi sacerdoti emana da queste pagine! E quanta vivacità di zelo per le anime loro, sospinte alla santificazione di una vita pastorale fervente e coraggiosa!». Con loro si raccoglieva annualmente per gli esercizi spirituali. Fu coraggioso nel difendere qualche sacerdote ingiustamente perseguitato o diffamato, durante la grande guerra del 1915-1918 o sotto il regime fascista. Toccargli i preti era come toccare i figli ad una madre.

Volle che la scuola di religione venisse protratta e approfondita nei circoli delle associazioni giovanili e coronata da gare di cultura, prima parrocchiali, poi foraniali, infine diocesane: iniziate nella diocesi trevigiana nel 1919-1920, tali gare di cultura si diffusero in seguito in tutta l’Italia, le estese nel 1930 anche agli uomini cattolici, organizzando giornate di studio, scuole di catechisti e due congressi catechistici diocesani, nel 1922 e 1932. Sulle orme e con lo stesso entusiasmo di san Pio X, fu «il vescovo del catechismo».

Segui spiritualmente santa Maria Bertilla Boscardin, i servi di Dio Giuseppe Toniolo, Guido Negri, madre Oliva Bonaldo. Ebbe particolarissima amicizia con il cappuccino san Leopoldo Mandić, con san Pio X, documentata, questa, da copiosa corrispondenza epistolare e dalla propria autodefinizione: «Noi che… fummo tanta parte del suo dolcissimo cuore».

Fu condottiero di laici, particolarmente di movimenti giovanili, convinto e insistendo anche nel testamento che «è di san-

ti che oggi abbisognano le famiglie, le parrocchie, la patria, il mondo». Nell’aprile 1914, dichiarò sacro «il diritto dell’operaio ad organizzarsi… in sindacati per la propria elevazione economica e morale». Nel 1920 sostenne le Leghe Bianche, movimento sindacale di ispirazione cristiana, mostrandosi il vescovo dei poveri, degli operai, dei contadini. A Treviso, nel 1920, fondò il collegio vescovile “Pio X”, per assicurare ai giovani formazione cristiana. Affrontò con coraggio, mai disertando il proprio posto e le proprie responsabilità, la prova della grande guerra 1915-18, avvicinando e incoraggiando cittadini, profughi, soldati, feriti, sacerdoti. Il 27 aprile 1917, emise il voto di innalzare un tempio alla Vergine Ausiliatrice. Chiamato “il vescovo del Piave e del Montello” insignito della croce al merito di guerra, a guerra finita percorse la diocesi per incoraggiare alla ricostruzione delle quarantasette chiese rovinate, alla rappacificazione degli animi, al risveglio della vita cristiana, con intrepidi interventi per salvare i suoi fedeli da ideologie anticristiane e sovvertitrici. I vescovi del Veneto lo ritenevano il loro “Patriarca di campagna”, consigliere, teologo distinto, apostolo instancabile. Pio XI, nell’ottobre 1923, riconobbe i “grandi servizi” datigli dal Longhin: «Ha tanto lavorato per la Chiesa».

Fu amministratore apostolico della diocesi di Padova nel 1923, visitatore e amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Udine, 1927-28. Il 4 ottobre 1928, fu nominato arcivescovo titolare di Patrasso. Nel 1929, nel 25° di episcopato del Longhin, il servo di Dio Pietro card. La Fontaine, scrisse: «Ammiro in lui con diletto e edificazione una copia del Buon Pastore evangelico, somigliantissima all’originale».

Egli rimase francescanamente umile, ricordava le sue umili origini di campagna, i suoi poveri confratelli cappuccini, sapeva chiedere scusa quando gli sembrava di aver ecceduto. Un giorno si pose in ginocchio a terra, dinanzi a un suo parroco e lo pregò di volerlo scusare per un forte richiamo, e gli baciò i piedi. Nel testamento supplicò: «I miei funerali voglio modestissimi e senza discorso».

Colpito da malanni, da una progressiva arteriosclerosi che il 3 ottobre 1935 lo bloccò definitivamente obnubilandogli la vista, percorse il suo calvario per nove mesi di sofferenza, celebrando la messa fino al 14 febbraio 1936 e poi ricevendo, ogni giorno, la comunione. Mori il venerdì 26 giugno 1936 dopo aver baciato il Crocifisso. Aveva settantatré anni, venticinque trascorsi in convento e trentadue nel servizio episcopale. I funerali furono imponenti, il 30 giugno, con l’unisono corale commento: «Era proprio un santo». Dal 5 novembre 1936 è tumulato nella cattedrale di Treviso.

Nella ricognizione, 12-22 novembre 1984, la salma fu ritrovata «intiera con parti molli in larga parte mummificate». Il processo informativo si svolse nella diocesi di Treviso, 21 aprile 1964 – 26 giugno 1967, con due processi rogatoriali a Padova e Udine. Il decreto sulla revisione dei copiosi scritti è del 17 dicembre 1971. Il decreto di introduzione della causa è datato 15 dicembre 1981. Il processo apostolico si compì a Treviso, dal 18 giugno 1982 al 26 giugno 1985. Consegnata la Positio nel 1998, il 21 dicembre venne promulgato il decreto sulle virtù eroiche, il 23 aprile 2002 il decreto sul miracolo.

Domenica 20 ottobre 2002 San Giovanni Paolo II lo dichiarava beato.

[Fonte: Costanzo Cargnoni (a cura di), Sulle orme dei Santi. Il Santorale cappuccino: santi, beati, venerabili, servi di Dio, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina – Postulazione Generale OFMCap, San Giovanni Rotondo (FG) – Roma 2012, 335-340].

Beato Tommaso da Olera

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Acerbis Tommaso (Tommaso da Olera), nato nella minuscola borgata di Olera nella Val Seriana (Bergamo) sul finire del 1563, divise con i poveri genitori stenti e lavoro, facendo il pastorello fino ai diciassette anni, analfabeta perché nel paesino montano non c’erano scuole.

Vestito l’abito cappuccino nella provincia veneta, a Verona il 12 settembre 1580, ottenne di imparare a leggere e a scrivere, dimostrandosi subito «un maestro e specchio della perfezione religiosa, anzi un colmo di ogni sorte di virtù», come depose padre Giovenale Ruffini nel 1682. Professò il 5 luglio 1584 e fu addetto all’umile servizio della questua a Verona sino al 1605, poi a Vicenza sino al 1612, a Rovereto dal 1613 al 1617. Fu a Padova, nel 1618, quale portinaio del convento. Nel 1619, richiesto dall’arciduca del Tirolo Leopoldo V d’Asburgo, fu destinato ad Innsbruck quale questuante.

Obbedienza e umiltà lo fecero il “fratello della questua” per quasi cinquant’anni, l’amore per le anime lo fece un apostolo: testimoniò il Vangelo, parlò di Dio; istruì nella fede umili e grandi, impegnò tutti nell’amore. Un vero apostolo senza stola, in dialogo con tutti e tutti «si stuppivano…, et pareva impossibile humanamente che un semplice frate laico parlasse cosi altamente di Dio, com’egli parlava». «Da per tutto parlava delle cose di Dio con tanto spirito e devotione, che rendeva a ciascheduno stupore e maraviglia». Spingeva a rappacificazioni e al perdono; visitava e confortava i malati; ascoltava e incoraggiava i poveri, scrutando coscienze denunciava il male e facilitava le conversioni.

Per ottenere quanto prospettava a chi incontrava, di notte vegliava in preghiera, flagellava il suo corpo, imponendosi per la salvezza degli altri digiuni e austerità.

Fu promotore di vocazioni alla vita consacrata, ispirando «singolarmente le vergini a darsi al Signore». A Vicenza patrocinò l’erezione del monastero delle cappuccine, costruito presso Porta Nuova nel 1612-13. A Rovereto sollecitò i provveditori della città ad erigere il monastero delle clarisse, costruito nel 1642. Nel Tiralo fu un trascinatore: guida spirituale dei poveri nella Valle dell’Inn, catechista, informatore delle attese codificate dal Concilio di Trento per un’autentica riforma cattolica. Dal 1617 fu amico e maestro spirituale dello scienziato Ippolito Guarinoni di Hall, medico di corte a Innsbruck: oltre ai colloqui, scrisse lettere sui problemi di etica coniugale, sul come affrontare le croci nella famiglia, sul come amare Dio.

Seguì l’istituto delle Vergini di Hall, centro di educazione per le ragazze della nobiltà tirolese; fu accanto, con incontri e lettere, alle arciduchesse d’Asburgo Maria Cristina ed Eleonora, sorelle di Leopoldo V. A costui e alla sposa Claudia de’ Medici fu guida spirituale, con frequenti incontri al palazzo e con numerose lettere.

A tutti insegnava quella «alta Sapienza dell’amore» che «s’impara alle care piaghe di Christo»; esortava a riputarsi “felici nel patire” perché «l’amore si conosce nel patire». Fu consigliere dell’arcivescovo Paride Lodron, principe di Salisburgo. Seguì pure la vita spirituale dell’imperatore d’Austria Ferdinando II, standogli accanto durante la guerra dei Trent’anni (1618-48). Fu amico e consigliere dei duchi di Baviera, Massimiliano I ed Elisabetta, residenti a Monaco. Alla loro corte, nel 1620, portò dal luteranesimo alla Chiesa Cattolica il duca di Weimar. Soggiornando a Vienna (1620-21), incontrando alla corte imperiale Eva Maria Rettinger,

vedova di Giorgio Fleicher conte di Lerchenberg, la portò ad abbracciare la fede: si fece cattolica. In seguito si consacrò a Dio tra le monache benedettine nel monastero di Nonnberg-Salisburgo, diventandone badessa.

A Conegliano (1624) portò alla fede cristiana l’ebrea Paola sposa di Pietro Valier, che poi riconobbe: «Conosco d’essere nel grembo della Santa Chiesa… per l’aiuto, diligenza, solicitudine, et orazioni di fra Thomaso». Per tenere gli operai fedeli alla Chiesa Cattolica, ricorreva alla collaborazione dei baroni Fieger di Friedberg, imprenditori delle miniere di Taufers e datori di lavoro nelle Valli dell’Inn e dell’Adige.

Di casa in casa per la questua, sosteneva la fede dei vacillanti, respingeva suggestioni e ideologie luterane che s’andavano espandendo. Dai superiori ebbe l’ordine di mettere in iscritto tali sue conversazioni a difesa della fede. A Vienna, nel 1620, stese Concetti morali contra gli heretici, pubblicati postumi in Fuoco d’amore (Augusta 1682, parte IV, 529-708). Svelò la fonte da cui attingeva il suo scrivere : «Né mai ho letto una sillaba de’ libri; ma bene mi fatico a leggere il passionato Christo».

Innamorato della Madonna, nei suoi scritti la riconosce tra l’altro Immacolata Concezione, Assunta in cielo. Fu tre volte pellegrino alla Santa Casa di Loreto (1623, 1625, 1629), ricordando che «arrivando in quella S. Casa, mi pareva d’essere in paradiso». Indicò all’amico Ippolito Guarinoni una località vicino ad Hall, sul fiume Inn, al Ponte di Volders: là volle che si costruisse una chiesa da dedicarsi all’Immacolata Concezione; ne fece gettare le fondamenta nel 1620; chiese aiuti, superò critiche e difficoltà finanziarie. Ultimata nel 1654, fu la prima chiesa, in terra di lingua tedesca, dedicata all’Immacolata e a san Carlo Borromeo, considerata dall’Austria monumento nazionale.

Quanti si trovarono presenti alla sua morte, avvenuta il 3 maggio 1631, la ritengono una “morte d’amore”. Fu sepolto, domenica 5 maggio, nella cripta della cappella della Madonna, nella chiesa dei cappuccini ad Innsbruck, dopo ininterrotti pellegrinaggi di fedeli attorno alla sua bara. Attualmente la tomba è nella parete destra della stessa cappella.

Persistette fino ad oggi la fama della sua santità. Giovanni XXIII parlò di Tommaso «come di un santo autentico e di un maestro di spirito». Paolo VI, il 22 novembre 1963, lo ricordò come «valido strumento della generale rinnovazione spirituale».

Il 28 febbraio 1967, a Bergamo, s’iniziò il processo ordinario informativo, concluso il 19 aprile 1968; contemporaneamente a Innsbruck, si svolse un processo rogatoriale. Il decreto sugli scritti è del 12 gennaio 1974. Nel marzo 1978 fu presentata la Positio per l’introduzione della causa e per l’eroicità delle virtù, approvata il 7 marzo 1979. È del 4 dicembre 1980 il decreto sulla fama di santità del servo di Dio Tommaso. Il 28 maggio 1982, fu riconosciuta la validità dei processi informativo e rogatoriale. Il 2 febbraio 1983, è stata presentata la Responsio ad Animadversiones. Il 24 febbraio 2011 la Consulta Medica della Congregazione delle Cause dei Santi ha riconosciuto all’unanimità la guarigione come fatto scientificamente inspiegabile.

Un anno dopo, il 7 febbraio 2012, anche l’Ordinaria dei cardinali e vescovi ha emesso un giudizio positivo sul miracolo, avvenuto a Thiene fra il 29-30 gennaio 1906; il 10 maggio 2012 Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto su questo miracolo attribuito all’intercessione del venerabile Tommaso da Olera.

[Fonte: Costanzo Cargnoni (a cura di), Sulle orme dei Santi. Il Santorale cappuccino: santi, beati, venerabili, servi di Dio, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina – Postulazione Generale OFMCap, San Giovanni Rotondo (FG) – Roma 2012, 117-120].